15 dicembre 2009

BAMBINA DA VECCHIA DATA – prima parte

Domenica sera. Cammino per un sentiero innevato in cerca della casa, della mia. Ma nel buio totale di quest’ora perdo l’orientamento – un orientamento qualsiasi.

I miei passi affondano nelle neve, vacuo dopo vacuo: mi fa compagnia solo la nuvola di fumo con cui la mia bocca sta parlando al freddo. È la scena opaca di un vapore che dialoga con il ghiaccio.

Le mani sono paralizzate in tasca dimentiche del tatto/il naso ha perso la punta scordandosi del fiuto/gli occhi si parano dietro alle palpebre imputando al buio la mancanza di vista.

Comunque il corpo, nel suo insieme, alla cieca, procede ostinato nella forza d’inerzia.

Fino a che, senza averlo lontanamente previsto, si scontra con un blocco di marmo: dalle spalle larghe, imponente. La mente arriva di fronte a quell’ostacolo in ritardo di qualche minuto; l’ identità si affaccia allo scoglio con una lentezza ancora maggiore:

il blocco, un cubo perfetto, ha le dimensioni di una piccola dimora o di un grande cenotafio, ma più probabilmente è un incrocio di queste due forme:

è il rifugio di qualcuno che vive/

morendo in un vuoto di memoria.

Quando finalmente i ‘corpo mente identità’ sono riuniti in me, che a fatica tento di ostacolare la dispersione dei miei pezzi, una porta ritagliata nel marmo si apre violentemente: è il grido di chi in quella tomba di casa, stasera, ha bisogno di essere visitato – e con il battente urla la mia emotività, non aliena lei stessa dalla necessità di farsi visitare.

Mi ricompongo,

varco la soglia e vedo il volto del sequestrato: in quelle pareti, piantate a terra senza dare alcun frutto, è abbandonata la prima orfana di un Paese…

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